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giovedì 17 febbraio 2011

La vita dura del ciclista urbano

La band di un mio amico qualche anno fa cantava: “Vai ciclista urbano, colonizza la città!”.
Più facile a dirsi che a farsi.
Loro, gruppo per hobby, predicavano l'ecologia intrattenendo folle mezze sbronze alle feste estive dei circoli. E facevano bene. Il pezzo non era niente male e c'era qualcuno che addirittura accennava qualche balletto sul ritornello.
Però, parliamoci chiaro, fare il ciclista in città può essere tutto tranne che una passeggiata. No, scusate, fare il ciclista a Milano non è una passeggiata. Ad Amsterdam è una goduria. I ciclisti olandesi hanno una città con corsie preferenziali in ogni strada, semafori con allegri segnali luminosi a forma di bicicletta e poi parchi da attraversare e graziosi ponticelli...e non dimentichiamo il particolare più rilevante, sono un numero inverecondo, masse di biciclettanti che anche con tre gradi sotto zero e le lastre di ghiaccio spesse come il pack, pedalano spensierati, fregandosene dei poveri quattro stronzi su mezzi a motore. Sono tanti, per questo sono padroni unici e indiscussi della città.
A Milano la bicicletta è un mezzo per temerari.
Un saggio mi disse: “Se sai andare in bici a Milano, sai andare in bici ovunque.”
C'è da puntualizzare subito una cosina. Io non parlo di passeggiatine domenicali per smaltire la polenta o di farsi cinquecento metri scarsi con tutta la calma. Io parlo di traversate senza fine, viaggi della speranza con tanto di borsa, zainetto e cestini (sia quello davanti, sia quello dietro) stracolmi, parlo di una vera e propria odissea fantozziana.
I veri ciclisti urbani si muovono solo con la loro fedele due ruote e rifiutano ogni sorta di altro sistema per traslocare il proprio sedere da una parte all'altra dell'agglomerato urbano. Sono quelli che quando gli amici prendono la macchina il sabato sera dicono: “Io vi raggiungo in bici!” e si prendono pure dei cretini. Sono quelli che si sono comprati la mantella di tela cerata per essere pronti anche in caso di uragano o tzunami. Sono quelli che vanno al lavoro, in università, al corso di yoga, al bar, al supermercato sempre e solo pedalando, anche se questo significa inforcare la bici a Famagosta e parcheggiarla a Cologno Nord. Sono quelli che alla bici danno pure un nome.
Sì, un nome.
Nomi di biciclette che conosco: Poderosa, Sfrenata, Sbiadita, Sbadata, Imbarazzocicletta, Adalgisa, Wilma, Terry, Melinda, Borsellina (questa era la bici di un amico che studiava Giurisprudenza!).
Per il ciclista la bici è una debolezza, croce e delizia, un amore troppo forte, irresistibile.
Ecco, io sono un ciclista urbano. I mezzi pubblici mi mettono ansia, mi opprimono. L'idea di rimanere schiacciati come sardine in una scatola mobile, mi uccide. Voglio sentire il vento sulla faccia, correre via veloce e vedere il cielo sopra di me.
Sembra romantico e invece è uno sport estremo.
Bungee jumping, parapendio, rafting, corsi di sopravvivenza...non c'è nemmeno da discutere, la pedalata in Corso Buenos Aires batte tutti.
In primis è necessario imparare la tecnica dello slalom tra le automobili. Se non si vuole finire intossicati, è fondamentale posizionarsi davanti al semaforo in attesa del verde e così una dopo l'altra si superano le Mercedes e i Suv che sgasano e scalpitano come i cavalli del palio di Siena prima della partenza. Sembra un'operazione da nulla, invece è necessaria una maestria da rettile per sgusciare veloci e soprattutto per non rigare la Porche di qualche riccastro incazzato o ammazzare qualche specchietto con una manovra maldestra. Il fine ultimo è raggiungere la pole position prima che scatti il verde, se le macchine partono mentre siete nella fase di slalom è un gran casino.
Altra pratica molto delicata è il passaggio per il centro. Che bello il centro! Piazza Duomo, il Castello, via Dante con le esposizioni di fotografia e via Torino con i suoi negozi e il pavé! Il maledetto, infingardo, scivoloso pavé. L'incubo di ogni pedalatore professionista.
La scomodità di questa copertura stradale, tanto bella a vedersi, non può essere descritta a parole, va provata! La sensazione di essere seduti su una poltrona vibrante alla massima potenza a metà tra l'incontinenza e il godimento nel tentativo disperato di rimanere in sella è consigliabile a chi è in cerca di emozioni forti. Come se non fosse sufficiente i binari del tram tagliano la carreggiata e, il ciclista navigato sa benissimo che finirci dentro con le ruote significa non uscirne più e filare via lisci per direttissima fino al capolinea. Il furbo sale sul marciapiede, ma via Torino è gremita di gente a qualunque ora del giorno e della notte e così si ritrova ad avanzare a passo d'uomo cercando di non caricare qualche vecchietta che esce distrattamente da un negozio.
Quindi l'unica è pedalare come se non ci fosse un domani, senza pensare al pavet e ai binari, magari con il tram che incalza alle spalle, mostro elettrico con lo spazio di frenata del TGV e sperare che a nessuno venga in mente di attraversare proprio in quel momento.
E tutto questo per non parlare della rotonda di piazzale Loreto, del semaforo di via Sforza (al verde cinque corsie di auto, due delle quali abusive, schizzano via impazzite a tutta velocità, attorniate da motorini che si infilano in ogni spazio vuoto e sembrano pesci pulitori intorno alla balena) e delle macchine parcheggiate in terza fila e sul marciapiede in via Vigevano che lasciano il ciclista attonito in attesa del momento buono per superare l'ostacolo.
Nonostante le avversità della giungla cittadina, una volta provata l'ebbrezza non è facile smettere, rinunciare alla dose di adrenalina quotidiana.
L'idea di vedere la città sfrecciare intorno a me mi piace, mi fa sentire ancora più dentro, al centro della vita, del suo movimento frenetico. Sentir cambiare le stagioni sulla mia pelle, capire che è primavera dal fatto che i guanti non servono più, sapere che stanno riasfaltando Largo Murat o che il venditore di fiori all'angolo tra Corso Venezia e via Boschetti ha esposto le primule, vale tutte le imprecazioni e i piccoli disagi.
Stasera, tornando a casa, mi stavano stirando. Una signora impellicciata al volante mi ha fatto un gesto come per dire “Cosa diavolo fai!?”. Io in un attimo di altissima lucidità le ho cantato: “Vai ciclista urbano, colonizza la città!”. Chissà se ha capito la citazione.



1 commento:

  1. ahahah!!!! bellissimo questo pezzo!!
    ma.....siamo sicuri che questa vita difficile e pericolosa sia quella di tutti i ciclisti milanesi? non è che per giustificare la tua "estrema destrezza" ti sei lanciata in una violenta invettiva contro i poveri automobilisti imbottigliati nel traffico mattutino, pomeridiano e serale? mha, non saprò mai se hai ragione oppure no, mi terrò questo dubbio visto il nome della mia bicicletta: "Verginella", secondo nome "Maistatatoccata"!!!
    la mia parte preferita di questo post è quando scrivi: "...Quindi l'unica è pedalare come se non ci fosse un domani..." GRANDEEEEEEE!!!!
    al prossimo post!

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