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sabato 10 dicembre 2011

L'albero della Cuccagna

Back. Sentivo una specie di nostalgia.
Una piccola segnalazione: ogni martedì e sabato, dalle 15 alle 20, mercato agricolo alla Cascina Cuccagna, via Cuccagna 2. Per semplificarvi la vita, da Porta Romana prendete via Muratori, la cascina si trova accanto al centro sociale Vittoria.
Nella corte due volte la settimana alcuni produttori, contadini, allevatori...si danno appuntamento. I prezzi sono contenuti e la frutta da dieci e lode.
Chicche: un apicoltore che propone mieli aromatizzati e che ha sempre voglia di spiegarvi come dove e perchè alleva le sue api e quale sia il miele migliore per un tè o per una camomilla e una sciura che vende pasta secca di farro artigianale.
Il mercato agricolo è solo una delle attività del progetto. Per info: http://www.cuccagna.com/.
Forse vi ricorderete un servizio di qualche settimana fa di Striscia la Notizia, proprio riguardo al mercato agricolo che lo indicava come un modo di fare la spesa e risparmiare. Il biologico non è necessariamente caro. Provate a fare un giro da queste parti.

martedì 31 maggio 2011

Il cielo arancio sopra Milano

Pezzo a grande richiesta dei miei pochissimi lettori. E le richieste ai piccoli blog non rimangono mai inascoltate.
Ho osservato anche io il silenzio mediatico pre-elettorale. Avrei voluto scrivere della mia Milano, ma come potevo vedendola così...col fiato sospeso.
Questa la sensazione camminando per strada. Un milione e mezzo di persone nell'attesa spasmodica di un risultato che avrebbe cambiato davvero le sorti della città. Una volta tanto l'esito avrebbe fatto la differenza.
Per i miei fedelissimi ho seguito molto da vicino la campagna elettorale, che è stata designata come la più divertente mai vista, almeno dalla sottoscritta. Non solo per i miliardi di eventi annessi e connessi, ma per il tam tam di informazioni, video canzonatori, filmati divertenti che fluivano senza sosta, minuto dopo minuto, sul web, nuovo campo di battaglia.
Non importava molto quale fosse l'orientamento politico di ognuno. La sfida per il posto di primo cittadino milanese interessava tutti. Senza limiti di età, credo religioso o substrato sociale.
Ed è questa la vera novità. Perché i milanesi non son mica gente di bocca buona! Nossignore, si muovono solo per le cose grosse e possibilmente anche raffinate, chic e off limits ai più.
Ma stavolta no. Si sono riversati in piazza e per le strade, hanno espresso la loro opinione. Bastava ascoltare frammenti di discorsi sul tram, o in fila alla mensa. I nomi dei due candidati scelti erano sulla bocca di tutti.
Non è un'illusa Milano. E' scettica e cinica. Per questo il fermento di questi giorni testimonia una vera rivoluzione, la nascita di una coscienza di massa. Troppo ottimista? Forse.
Intanto usciamo tutti da giorni di fuoco, frastornati dalla confusione, dagli exit pol, dai concerti gratuiti e dal faro di scena puntato tutto su di noi. Lusingati di tanta attenzione, questo è sicuro. Siamo specialisti del red carpet!
Sconfitti o vincitori, abbiamo svoltato. Volenti o nolenti ricominciamo da qui.
Ho sempre pensato che mi mancava l'esperienza vitale di una vera rivoluzione. Pensavo ai sessantottini, alle femministe, alle battaglie sindacali. Mi lamentavo di fare parte di un periodo storico asciutto e poco appassionato. Eccomi accontentata. Non saranno la guerra civile spagnola (e per fortuna!), ma questi quindici giorni sono stati aria sferzante sulla faccia.
Ecco quello che più mi ha colpito di questa incredibile esperienza.
Gli eventi. Avete mai visto tanti concerti, comizi, spettacoli in così poco tempo? Ero angosciata, perchè non era possibile presenziare ad ogni cosa. Un più, anzi molti più, all'attuale sindaco per la Volata, biciclettata sociale. Qualcuno penserà anche al ciclista urbano, finalmente?
Youtube. Fonte inesauribile di ogni tipo di video assurdo. Ha allietato la campagna e stemperato la tensione. Consigliati: Il favoloso mondo di Pisapie, Tranne te (in versione rap comunistico) e Viva la mamma (Edorado Bennato featuring Letizia Moratti).
La fata arancina: una novantenne con i capelli tinti di arancio per l'occasione è stata avvistata durante lo spettacolo in via Lazio, giovedì 26. A una certa età non si è mai eccessivi.
Le magliette dissacranti: con la firma Morattiquotes, frasi pungenti per il candidato sindaco di Rifondazione. La mia preferita: Pisapia è il fumo nero di Lost.
I cartelloni pubblicitari: agguerriti quelli di Letizia. Anche troppo. La satira, si può dire, se l'è fatta da sola rubando lavoro e idee a Crozza e compagni. Forse scherzava! Bah...
Gli slogan: sia quello del buon Giuliano (Libera Milano) che quello dell'ex sindaca (Forza Milano), si prestano, con leggeri cambi d'intonazione e l'aggiunta di un apostrofo qua e là a tutt'altre interpretazioni. Bastava cambiare la disposizione delle parole per evitare l'inondazione dei social network con volantini ritoccati con fotoshop.

Ieri, finalmente, è finita l'attesa. Alle 17 e 30 si annunciava la vittoria di Giuliano Pisapia, nuovo sindaco di Milano.
Piazza Duomo esplodeva di gente contenta. Questo, alla fine, quello che conta.
Le prime parole da Primo Cittadino sono state: sarò il sindaco di tutta Milano. Allora anche della Milano disagiata, della periferia meccanica, dei disoccupati, degli studenti, delle centraliniste e degli immigrati? Dice di sì. Speriamo, davvero.
Magari la città si toglie un po' di cipria e di lucidalabbra glitter, smette i panni di diva in paillette e tacchi a spillo e indossa quelli di capitale culturale e anticonformista. In fondo, lo era già stata.
Benvenuto dunque al nuovo Sindaco. La responsabilità che ti sei preso è bella grossa, forse troppo per un uomo solo. Circondati di bella gente, che a Milano ce n'è tanta.
Un passo alla volta e non ti scoraggiare se la bella e capricciosa ti volterà le spalle al primo passo falso. Non demordere. Ci vuole pazienza, come con tutte le cose belle.
E allora...Buongiorno Milano!

giovedì 19 maggio 2011

Ubi maior minor cessat

La città può essere un inferno. Lo ammetto. Anche per una innamorata come me ogni tanto ci vuole una pausa, piccola, ma necessaria. Ritrovare un po' di pace e silenzio.
Le opzione sono due. Se avete i vetri doppi e l'aria condizionata il consiglio è quello di rifugiarvi nel vostro appartamento. Mettervi comodi sul divano con un libro o un vecchio film, staccare il telefono, non accendere il computer. Oppure dedicarsi al giardinaggio o balconaggio (se avete il giardino in città appartenete ad uno 0,3% dell'intera popolazione dell'urbe e nutro per voi una sincera e spassionata invidia!).
Se chiudervi in casa vi da un senso di claustrofobia, c'è un'altra opzione per essere in “tre due uno” catapultati in un altro mondo...termemilano!
Le terme in città. Siete abituati a prendervi un paio di giorni per arrivare sui monti svizzeri o a farvi ore di macchina per approdare al lago, solo per usufruire del percorso benessere? Antichi! Anzi anacronistici! Perchè farlo quando prendendo la metro linea gialla e scendendo alla fermata Porta Romana potete entrare in un tempio del relax? E senza nemmeno dover uscire dalla città!
A due minuti da casa un centro termale coi fiocchi.
Ero scettica quando le mie amiche me l'hanno proposto. Molto. I posti dove ci si rilassa mi rendono nervosa. La frenesia cittadina è parte di me.
Eppure, mi sono dovuta ricredere.
Si entra in un magnifico universo silenzioso. Si fa il bagno nelle vasche all'aperto con le mure cinquecentesche come contorno e poi si parte con le mille e una attrazioni.
Ho scoperto che il bagno turco e l'hammam differiscono per il grado di umidità e che esiste la doccia emozionale (che più che emozioni regala sorprese sotto forma di getti di acqua gelata quando meno te lo aspetti).
Le signorine all'ingresso forniscono tutto, proprio tutto: asciugamano, shampoo, crema per il corpo e infradito. Nemmeno la borsa bisogna portare! Per veri milanesi dell'ultimo minuto, che escono dal lavoro e vogliono a tutti i costi farsi una sauna. Il costume però è obbligatorio, non scordatevelo, che non siamo mica in Svezia.
Nel giardino dell'edificio trovate una sauna allestita in un tram. Piccolo segno della milanesità del luogo. Molto molto originale. Peccato per un pacchiano cartello-sponsor grosso come una casa.
Alla fine dell'”estenuante” viaggio di vasca in vasca e di doccia in doccia e di vapore in vapore finalmente arriva il momento del ciboooooo!
Buffet molto bio, molto veg, molto macro...insomma poco sostanzioso, ma niente male.
Mi concedo dieci minuti nella sala relax, con un bel fuoco acceso e quegli enormi cuscini pieni di sabbia, che prendono la tua forma e poi, chi si alza più? Musichetta new age per accompagnare il pisolino che sto per fare. La sirena di un'ambulanza supera la barriera delle mura fatte costruire nientepopodimeno che da Ferrante Gonzaga, e raggiungono le mie orecchie rilassate.
Casa dolce casa. E buonanotte!

martedì 10 maggio 2011

Per un mercoledì da leoni

C'è qualcuno che ha tempo da vendere? Che si mette lì, per strada, con un banchetto, tanto di ombrellino per ripararsi dal sole e offre a prezzo modico minuti e mezz'ore. Oggi offerta speciale: 10 minuti a 2 euro! Se compri un'ora ti regaliamo 10 minuti!!
Io mi ci fionderei e mi farei pure fare credito!
Fatto sta che per ora a Milano di venditori di tempo non ce n'è. Se ne avete notizia scrivete!
La mancanza di questo utile esercizio commerciale mi ha tenuto lontano dal mio confessionale di milanesità.
Oggi ho rinunciato ai doveri accademici. Non sarà poi così grave.

Ecco ecco. Il mercoledì ho sempre un ospite speciale. Non che ne abbia uno per ogni giorno della settimana. Ne ho uno il mercoledì che però è fisso, non si cambia. Un appuntamento sempiterno come “Novantesimo minuto” la domenica sera. Sembra non abbia mai avuto un inizio e che non possa avere una fine.
Chiaramente dal giorno di apertura del blog, l'ospite permanente è più che coinvolto nell'esplorazione e nella ricerca. Non batte ciglio, grazie al cielo.
Gli ultimi due mercoledì sono stati interessanti, in senso culinario.
Due proposte per chi è affamato.
Proposta numero uno: un risotto alla milanese, fatto in casa come se fosse da servire al ristorante.
Copio diligentemente la ricetta tradizionale, quella vera vera eh, mica pizza e fichi!

Ingredienti per 4/6 persone:
riso vialone 400 gr
formaggio lodigiano (non è dato sapere, credo che il grana vada benissimo!) 75 gr
ottimo brodo di lesso (vi assicuro che con le verdure viene bene uguale!) 1,5 lt
una piccola cipolla
zafferano in pistilli

Prendere i pistilli di zafferano, metterli in una tazza e versarci sopra un po' di brodo bollente, metteteli in un posto sicuro (mica che vi cada la tazza con dentro il corrispettivo di un galeone spagnolo pieno di dobloni d'oro in zafferano).
Mettere la cipolla a pezzi con un po' d'olio nella casseruola (come non avete una casseruola? Come non sapete cos'è una casseruola?? va beh, la padella delle bistecche andrà bene, col bordo un po' alto però!). Far rosolare un pochino, poi togliere la cipolla. Mettere il riso a tostare e poi aggiungere il brodo poco a poco e solo alla fine versare anche quello della tazza, ma togliendo i pistilli, che non sono buoni da mangiare. Aggiungete il formaggio a vostro gusto e mantecate ancora un pochino. Una noce di burro non guasta.

Et voilà, ecco a voi il risotto del colore del sole! Il piatto tipicissimo della bella Milano.
La ricetta originale voleva anche del grasso d'arrosto, o midollo di bue...io ne faccio a meno. Troppo splatter e io sono debole di stomaco, ma a voi la scelta!
Servite con i sacri crismi, su un bel piatto e con un rametto di prezzemolo che fa colore e decorazione.
Il ristorante direttamente a casa. Basteranno due fiori in mezzo alla tavola o il servizio di posate buono (che io non ho, meglio i fiori o i tovaglioli a ventaglio!).
Il mio ospite, che è uno esigente in fatto di cibo, ha apprezzato molto.

Proposta numero due: cena fuori, ma dove dove dove??
L'idea era di andare allo Chandelier. Una specie di mondo fatato dove tra uno stupore e l'altro ti servono anche da mangiare. Era anche una dei miei compiti a casa, una delle 52 delle 101 cose.
Dopo svariate peripezie scopriamo che il sogno di Coppola, magnate della moda che ha aperto questo favoloso mondo di piacere, si è spezzato l'anno scorso. Lo Chandelier ha chiuso. Mannaggia!! La peculiarità del posto era senza dubbio l'arredo. Cianfrusaglie e oggetti d'arte disseminati ovunque e tutti rigorosamente in vendita, per permettere al fantasioso proprietario di rinnovare l'intero locale ogni anno. Un posto camaleontico come il paese di Alice.
Dopo la delusione, dovevo rifarmi. Ho sguinzagliato segugi esperti e...trovato!
Pane e Acqua. Via Matteo Brandello 14. Tra Cadorna e Sant'Ambrogio.
Piccolo, famigliare, con enormi foglie verdi alle pareti. Cucina perfetta e piccole chicche appese qua e là.
Non proprio per tutte le tasche, ma per le occasioni speciali è l'ideale.
Le liste vengono portate all'interno di libri, tanto che all'inizio non capivo se fosse un invito alla lettura o ci fosse un club del libro di cui non ero al corrente.
Prima di andarcene soddisfatti e sufficientemente satolli, scopriamo che anche qui ogni parte dell'arredamento è in vendita. Dal bellissimo piccolo faro che illumina la stanza, alle forchette colorate, ai tavolini che sembrano quelli che si usavano all'asilo.
Il camaleonte non passa mai di moda!

martedì 26 aprile 2011

Consiglio letterario e musicale

Mi hanno regalato un libro su Milano. Si vede che la mia ossessione porta i suoi frutti.
E' la mia lettura serale da qualche giorno.
Non riesco a dormire, sia l'ora che sia, se non leggo almeno una decina di pagine di qualsiasi cosa. Cerco di scegliere con cura e devo dire che, nonostante non sia stato selezionato, il libro che mi è capitato fra le mani mi appassiona.
"Milano calibro 9". Lui, Scerbanenco, è nato a Kiev e vissuto a milano tra i cinquanta e i sessanta.
Una città tutta gangster, pistole e affari sporchi, la sua. Scura, difficile, cattiva. Ventidue racconti noir, rompifiato, da leggere uno dietro l'altro. L'amaro che lasciano spinge a proseguire. Non c'è posto per i buoni sentimenti, solo fruscio di pallottole, sangue e uomini grossi in doppiopetto. La parte oscura della forza, insomma.
Non mi dispiace in fondo, immergermi per qualche ora al giorno in questa versione d'altri tempi della mia Milano.
Scopro, leggendo sull'autore, che ha scritto altre cose. Altri racconti sparatutto. Mi cade l'occhio su un titolo famigliare: I milanesi ammazzano al sabato.
Titolo, appena modificato, del disco del 2008 degli Afterhours, gruppo milanese per eccellenza. Senza sforzo eletto miglior lavoro della band dalla sottoscritta.
14 ricette di quotidiana macabra felicità, sottotitolo che introduce all'ascolto. 14 canzoni che lasciano in bocca lo stesso amaro dei racconti del bravo Scerbanenco. Comprendo appieno e appoggio l'ispirazione letteraria di Agnelli e compagni. Si saranno trovati come me immersi in un alone misterioso e affascinante, rapiti dal turbine dei crimini e dei delitti? Avranno pensato che quell'aria pesante ristagna ancora sulla città, che la nasconde sotto strati di palliette e vetrine scintillanti, come si fa con la polvere sotto il tappeto?
Avranno avuto l'impressione che il libro parli di ognuno di noi? Degli spazi scuri che manteniamo sotto controllo, delle ombre della bestia umana.
Se avete voglia di tirare fuori un po' di scheletri dall'armadio, ci sono già un libro e un cd che vi aspettano per aiutarvi nella difficile risalita in superficie della parte cattiva di voi. ;)

mercoledì 20 aprile 2011

Breaking news

Due aggiornamenti.
Fatta la spesa da mistofrutta. Essere serviti con gentilezza e chiacchierare con il commesso simpaticissimo non ha prezzo. L'esperienza cancella ogni ricordo delle avventure supermercatifere. Finalmente ho trovato un nuovo amore, abbandono volentieri il mio vecchio compagno comodo ma noioso, che mi tenevo solo per comodità.
Rettifica: la domenica è chiuso! Avevo letto male. Il sabato però apertissimo!!

Nella stanza delle bici del mio palazzo, dove fino a qualche settimana fa riposava solitaria la mia Storta (eh sì, si chiama così...potete anche cercare di indovinare il perchè) sono apparse molte altre meravigliose due ruote e tre minuscole biciclettine per bambini con le rotelline. Tenerezza infinita. Giovani ciclisti urbani crescono. :)

E il quattro vien da sè...

Ci sono molti luoghi che diamo totalmente per scontati. Angoli che pensiamo di conoscere solo per il fatto di esserci passati molte volte.
Sapevo da tempo che Piazza Mercanti aveva qualcosa da mostrarmi, anzi da farmi ascoltare, ma avevo sempre procrastinato.
“Lo farò” mi dicevo. E intanto ci passavo ogni giorno davanti, girandomi dall'altra parte fischiettando, ignorando la mia lacuna.
Devo dire la verità, mi ci hanno trascinato. Io avrei rimandato ancora.
Così eccomi. Cambia un bel po' la prospettiva, da sotto il colonnato. La strada sembra lontana, scura, come se ci fosse un vetro a separarla da me.
Ci si accorge subito che l'acustica è il pezzo forte. Risuona tutto come microfonato, e la tua voce ti sorprende.
Siamo pronti per dare il via al miracolo. Io da un lato della piazza, la mia spalla (nel senso di aiutante nelle esplorazioni!) dal lato opposto. Facce rivolte verso il muro e... “Cloe, mi senti?” Un bisbiglio sembra provenire dalla parete stessa, come se un cavaliere errante o una donna condannata per stregoneria fossero stati murati vivi.
“Wow, allora è vero!!!” sussurro piano. Rimaniamo lì a dirci quanto è incredibile per qualche minuto.
Poi soddisfatta e sorridente mi faccio un altro giretto in tondo, sotto la luce gialla dei faretti.
“Per cos'è che utilizzavano il trucco? Per parlarsi tra amanti?”
“No, erano i Mercanti che contrattavano in segreto.” rispondo sovrappensiero, ho letto con attenzione la pagina dedicata.
“In effetti, si chiama Piazza dei Mercanti!”
Mi metto a pensare agli amanti.
Gli amanti. Quanto sarebbe originale una dichiarazione d'amore così? Dici alla tua bella o bello di mettersi in posizione e poi tiri fuori parole d'altri tempi per creare un momento che, per lo meno, anche se va male, lei/lui non si dimenticherà.
Spesso a Milano non si respira proprio tutto sto romanticismo. Anche la seduzione e i rituali amorosi cambiano alla velocità della luce.
Eppure la città offre spunti meravigliosi, nicchie private, alcove segrete, piccoli angoli incantati.
Basta cercare, basta cercare!

venerdì 15 aprile 2011

TRE PIù

Una delle 101 famose cose da fare: la settimana del Salone del Mobile.
Già già, è arrivata e si è portata dietro una quantità inimmaginabile di turisti da tutto il mondo e, a quanto pare, si è portata via la primavera.
Se ci sono tre eventi che aspetto durante l'anno milanese uno è senza dubbio questo. Gli altri due sono: Fa la cosa giusta! (vedi qualche post fa...) e il Milano film meeting (in settembre, ho già l'acquolina!). 
Il Salone è senza dubbio, dei tre, l'evento più ricercato, più glamour, più modaiolo e internazionale. E' un po' la mia fashion week, visto che malsopporto modelle e cocktail party super privati.
La verità è che, non essendo addetta ai lavori, il Salone propriamente detto l'ho visitato una volta sola. E credo che per i non esperti sia invisitabile! Una scarpinata da vesciche ai piedi, una specie di labirinto di lampade, divani, oggetti di dubbio utilizzo, pentole ed elettrodomestici che spesso hanno l'aria di voler fare tutto tranne quello per cui sono stati creati, anzi disegnati. Eh, sì...tutto parte da un disegno e da un designer. Ho un'idea del designer molto molto precisa. La mia migliore amica Fra fa la designer. A volte quando parla mi perdo.
Abbiamo pure vissuto insieme per due anni e in definitiva questo è quello che ho imparato sulla categoria:
  • I designer di vestono in modo strano. 
    La Fra è piuttosto canonica nell'abbigliamento, almeno in relazione ad alcuni suoi amici che mi è capitato di bazzicare. Negli anni ho potuto osservare: l'utilizzo di scotch nero applicato al capezzolo al posto della desueta t-shirt, camicie e pantaloni quadrettati che neanche Pinocchio il primo giorno di scuola, cappelli cappelli cappelli, meglio se assurdi e anche in luoghi chiusi, accessori da far invidia a Lady Gaga. Il fatto è che moltissimi di loro, si disegnano e si cuciono da soli i vestiti! Sono dei creativi puri, con una mente brillante e visionaria. Ho sempre provato molta invidia per la loro autosufficienza sartoriale, meno per l'astrattezza dei risultati!
  • I designer usano parole strane. 
    Quando io e Fra vivevamo insieme, in periodi prestabiliti, tre o quattro suoi compagni di corso di trasferivano a casa nostra. Era il momento del progetto di gruppo. In definitiva, studenti emaciati che, mezzi inghiottiti dal divano con i rispettivi mac sulle ginocchia, si spremono le meningi (a tratti avrei giurato di vedere del fumo uscire dalle orecchie) per creare. Cosa? Oggetti, eventi, servizi (sia igienici che non), strani imballaggi, di tutto un po'.
    Per un paio di settimane all'anno sceglievano una casa dove rintanarsi e non ne uscivano fino ad impresa terminata. Immaginatevi pacchetti di patatine come unica fonte di sostentamento, posacenere pieni di cicche fino ad esplodere e musica elettronica per conciliare la concentrazione (se siete come me e necessitate di silenzio o, se proprio, dei suoni della natura anche solo per scrivere un biglietto di auguri, non potrete mai capire fino in fondo). Osservarli è stato interessante e la cosa che più mi ha colpito sono state le parole. Sì, le parole che a tratti captavo passando per il corridoio, o fermandomi a fumare una sigaretta con loro. I grandi classici erano gli ossimori: la “superficie profonda”, oppure la “freschezza infuocata”. Poi c'erano i concetti fondamentali: “il sogno che diventa materia e si spalma sulla realtà corrente per renderla più usufruibile dall'uomo moderno”. Eh??
    E infine l'insalata di parole. Lemmi dei più disparati campi semantici accostati in un guazzabuglio dall'aspetto indecifrabile: “miglioramento dei sinonimi di spazio”, “scenario del progetto di industrializzazione rapida”, “italian fashion design in evolution”.
    Per me era come entrare in un mondo nuovo. Non capivo mezza parola, cioè capivo ogni parola ma senza potergli dare un senso compiuto. Era bello, spegnevo il cervello e mi lasciavo trasportare dalle immagini che suscitavano quei bei suoni ordinati in modo anomalo.
  • I designer sono festaioli, anzi i più festaioli di tutti. 
    Gareggiano con gli stilisti (che poi fanno un po' la stessa roba, ma non ditelo mai a nessuna delle due categorie!). Sono sempre i primi a sapere di feste, party ed eventi e anche i più affidabili nella sottile arte dell'imbuco. Saltare le siepi, i cancelli, fare la faccia di bronzo coi buttafuori, sgusciare veloci tra la folla per non frasi riacciuffare è il loro pane quotidiano. Affidatevi a un designer e il divertimento è sempre assicurato, chiaramente se vi piacciono mondanità e chiccoserie. In ogni caso, vi consiglio una scampagnata con queste creature affascinanti, ne vale la pena.
Tornando a noi, durante la settimana del Salone la cosa migliore è il Fuorisalone.
Come mi ha insegnato la guru, il Salone esiste da cinquant'anni, mentre gli allestimenti esterni da molto meno. Secondo la Fra, addetta ai lavori e quindi fonte autorevole, da cinque o sei anni.
E' il Fuorisalone che rende Milano durante questa settimana una meravigliosa girandola colorata, un tornado di idee, idiomi e culture che si incontrano. Chi non espone al Salone, tempio immacolato delle grandi firme e degli artisti arrivati, può esporre in giro per la città e mostrare a tutti il proprio lavoro gratuitamente.
Milano si trasforma e ogni angolo si arricchisce di bellezza.
I designer pascolano felici, li riconoscerete dai cappelli o dagli occhiali (lenti enormi, montatura enorme, possibilmente di colori fluo). Una grande festa che dura una settimana.
Nonostante sia appena nato, il Fuorisalone evolve ogni anno e cambia, si adatta alla città, si misura con essa e poi cresce, matura.
Gli angoli della metropoli sottoposti a questa occupazione forzata dell'arte (che finalmente si fa spazio a gomitate tra cemento e mercato) sono sempre di più e meglio organizzati.
Un po' di amarezza per la crescente prepotenza delle feste private che la sera impediscono a poveri diavoli, quali la sottoscritta, di accedere a molti degli allestimenti in programma e per la sparizione dei mille gadget offerti durante le prime edizioni.
Insomma un Fuorisalone sempre più privato e avaro, ma sempre stimolante e irrinunciabile a chiunque viva a Milano o dintorni. I giapponesi si fanno 12 ore di volo pur di non perdersi questo momento!
Non fatevi scappare Ventura Lambrate e gli allestimenti in Brera. Se avete poco tempo, lasciate stare via Tortona, ribattezzata per l'occasione via Tortura! Per percorrerla tutta all'ora dell'aperitivo ci vogliono almeno un paio d'ore che passerete per lo più sgomitando per farvi spazio.
Un piccolo consiglio. Tra le 20 e le 23 di stasera passate da Piazza San Fedele. C'è un bosco molto particolare che vi lascerà senza parole!
Buon week end di Fuorisalone a tutti!

martedì 12 aprile 2011

Colazione da Tiffany

Se si vuole, a Milano, c'è sempre qualcosa da fare.
Ogni sera ci sono almeno: uno spettacolo teatrale, un vecchio film, una mostra e un locale che valgono la pena. Senza contare gli eventi speciali e gli appuntamenti settimanali irrinunciabili (vedi birra a tre euro all'East End il lunedì).
Per i milanesi è scontato che sia così, ma per me che provengo dalle lande desolate del freddo nord bergamasco è stata una scoperta alquanto affascinante. Una specie di dipendenza da eventi. Per i primi due anni dal trasferimento nella mia piccola grande mela non riuscivo a passare una sera in casa. Tutta una città da esplorare! Prima i posti più rinomati, poi quelli più antichi, quelli all'ultima moda e infine quelli miei, che avevo scoperto per caso o dopo lunghe ricerche.
Ma a Milano, se c'è una sensazione bella e famigliare, è proprio quella di aprire il giornale la mattina in metro, o davanti ad una tazza di cappuccino e chiedersi “Cosa NON farò stasera?”.
E' così rilassante sapere che il mondo continua ad impazzire anche senza di noi, che si può scendere dalla giostra, riposarsi un po' e poi risalirci quando si vuole.
Ieri sera, dopo aver valutato le proposte della città, decidiamo di rimanere in casa (anche in vista della settimana del fuori salone che sta per cominciare, e sarà campale!!).
Io e le ragazze, una cena frugale (insalata, sottaceti, patatine del sacchetto), le pulizie e un film. Mica un filmetto qualunque. Casablanca, classico tra i classici.
Fuori Milano continua ad urlare, ma noi siamo già in Marocco, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman.
In salotto abbiamo una collezione di locandine di vecchie pellicole. Ci fanno sentire un po' intellettuali e un po' retrò. Audrey ci osserva con il diadema di diamanti in testa, vicino a lei ci sono Merilyn e Charlot. Si litigano lo spazio grande sulla parete. Casablanca occupa solo un angolino, ma, non per questo, un posto meno ambito nelle nostre top ten.
A metà film ci accorgiamo che la gatta è sparita. Interrompiamo il nostro soggiorno nella terra dei Faraoni per cercarla. Quattro pazze che girano prima per casa e poi per il palazzo chiamando: “Gatto! Gatto!!”. La ritroviamo al pianterreno impaurita e rannicchiata in un angolo. Dev'essere scappata fuori quando siamo scese a buttare la spazzatura.
Alla scena manca solo Peppard che ci abbraccia tutte quante sotto una pioggia battente.
Torniamo, gatto compreso, sul divano a goderci la fine della storia, a chiedere a Sam di suonarla ancora. Guardo fuori dalla finestra. Vedo il solito panorama. Tetti a perdita d'occhio e mille finestre illuminate. Tutto è ancora vivo, il macchinario funziona, la giostra continua a girare.
Che sollievo!

domenica 10 aprile 2011

E DUE...


L’impresa di questa settimana era facile facile. Un aperitivo.
Nella magica Bibbia erano riportati tre locali storici della Milano da bere. Il Bar Basso, il Magenta e il Jamaica. La guru diceva di sceglierne uno dei tre e di godersi uno spritz o un negroni sbagliato in santa pace.
Considerando che al Bar Basso ci ero già stata un bel po’ di volte, che il Magenta l’avevo già visto (e poi mi inibiva un po’ il fatto che a una certa ora parte il Coyote Ugly: ragazze sul bancone che versano da bere direttamente in gola agli avventori…specifico, ragazze clienti!), ho optato per il Jamaica, rinomatissimo e mai visto.
Fondato nel 1911, luogo di ritrovo dei bohemien della città, degli scapigliati e degli artisti, fossero essi di fama mondiale o giocolieri di piazza. L’idea era quella di immergersi in un posto che ha visto passare così tanto estro e respirarne un po’ l’aria (sai mai che poi l’estro si impossessi anche di me!).
E ce l’ha tutta la faccia di averne viste di ogni colore, questo localino piccolino, con una terrazza sulla strada, nel bel mezzo del quartiere degli artisti. Via Brera 12, per l’esattezza. Più posizione strategica di così…
Il bancone di marmo altissimo, le mille bottiglie appoggiate all’enorme specchio alle spalle del barista, che ricorda così tanto quel quadro di Manet, quello con la barista che guarda verso la sala… Le bar de folies-bergère, ecco! Tutto ha cento anni e li dimostra. Le piastrelle ai muri fino al soffitto lo fanno sembrare, in alcuni angoli, una gastronomia d’altri tempi. E in effetti al Jamaica di mangia sempre. Non ci sono orari, stupide regole o menu per il pranzo. Il Jamaica offre le stesse cose da tempo immemorabile e, come un bar del dopoguerra (dei dopoguerra, visto che li ha visti entrambi!) che si rispetti, non nega un piatto di pasta a nessuno, anche fossero le tre del mattino.
La chicca è il giornale attaccato ad un’asta di legno, tipo bandiera. Forse è il caso di spiegarmi meglio, visto che mi son dovuta far illustrare il perché e il percome. Invece di lasciare i giornali su un tavolino perché la gente li possa leggere, al Jamaica si inserisce la piega del quotidiano nella scanalatura di un’asta lunga un metro circa, con un anello sulla cima, per appenderli al muro. Così appesi si possono sfogliare agevolmente senza bisogno di inventarsi nuovi origami e senza che si scombinino le pagine (che poi uno vuole la pagina sportiva ed è sempre quella che non torna mai al suo posto!). Chissà perché le barre da giornale (così le ho battezzate) sono sparite dalla circolazione? Mi sembrano geniali!
Bevendo uno Spritz eccezionale e chiacchierando di cucina e di arte (e di cosa vuoi chiacchierare in un posto così??) noto una cosa molto carina e rarissima a Milano. La forbice di età degli avventori è di almeno cinquant’anni. Matricole universitarie di non più di vent’anni affollano la terrazza, fanno chiasso ed entrano a chiedere da bere a plotoni di dieci alla volta. Signori distinti sulla cinquantina siedono all’interno sorseggiando del vino e, a tratti, fanno più rumore delle matricole. Al bancone e qua e là nel locale coppie di settantenni che si tengono per mano, vecchietti che portano a spasso il cane e si fermano qui per farsi un bianchino. Mi piace pensare che la clientela affezionata sia rimasta la stessa sempre e che i ventenni di allora sono i settantenni di oggi, che dentro il bar si sono incontrati, hanno bevuto, hanno giocato a carte e si sono innamorati.

Milano cambia alla velocità della luce. Un posto che ha visto due guerre e molta acqua passare sotto ai ponti e che offre il prosciutto crudo a qualunque ora, che si tiene la sua clientela fissa senza troppe smancerie o offerte speciali è raro come l’insalata russa nei buffet gratuiti.
Il mantenersi autentici è un grandissimo lusso, in questa città.
Quindi, un brindisi al Jamaica. Cin Cin all’autenticità, con l’augurio di rivederlo così tra altri cento anni. Salute!

mercoledì 6 aprile 2011

Donne, è arrivato l'arrotino!

Fare la spesa mi angoscia sempre un po'.
A Milano c'è un supermercato ogni cinquanta metri. Alcuni grandi con corsie infinite e prodotti di tutte le marche a perdita d'occhio, altri piccoli e famigliari, di quartiere.
Comodi e sempre a disposizione. Carrello, calcolatrice alla mano per valutare tutte le offerte, coda alla cassa e compilazione del modulo per la tessera della spesa-amica, per cercare di ottenere i tremila punti necessari per portarsi a casa la pirofila di Gatto Silvestro o il frullatore di Hello Kitty.
I cari vecchi negozietti specializzati sono in via di estinzione. Sono dispersivi, alcuni mi hanno detto. 
Ma non era più umano andare dal macellaio che con un bel sorriso chiedeva: “Sono due etti e mezzo, lascio?” e che faceva arrossire le signore coi suoi commenti coloriti? Il negoziante vicino di casa, che ti conosceva per nome, che aveva studiato i tuoi gusti e ti faceva assaggiare le novità appena arrivate.
L'esperienza di farsi il giro obbligatorio cominciando dal panettiere e finendo col fruttivendolo, mia sorella, che ha dieci anni meno di me, non sa nemmeno cosa sia. Persino nel mio villaggetto ai piedi delle montagne i piccoli esercizi non hanno resistito, soppiantati da centri commerciali con tanto di cinema multisala e ristoranti di tutte le etnie compresi, figuriamoci nella Big City (nomignolo per Milano coniato dai miei amici del bar del paesino!).
Girovagando in bicicletta ho provato a cercare qualche superstite stoico della vendita specializzata al dettaglio. Per lunghi chilometri si susseguivano: bar (uno ogni trenta metri), banche, centri estetici, centri per massaggi (sempre uno ogni trenta metri), agenzie di viaggi e immobiliari. Di una gastronomia o di un panettiere nemmeno l'ombra. E chiaramente non valgono le pasticcerie o le panetterie costosissime che il pane ce l'hanno ma è l'articolo che vendono meno, piene di torte dall'aspetto esotico, focacce soffici e pizzette di ogni tipo. Io cercavo il fornaio con la maglietta bianca e il grembiule ancora sporco di farina, quello che si è svegliato alle 3 del mattino e ha lavorato tutta la notte, con le occhiaie perenni e la faccia simpatica.
Niente di niente.
Sospese le ricerche, l'altro ieri, tornando dal lavoro, mi imbatto in una vetrina che mi lascia senza fiato. Un tripudio di verdura. Cassette piene zeppe di insalata e carciofi e peperoni che mi strizzano l'occhio al di là del vetro.
Mi fermo a rimirare. La luce calda e famigliare mi fa tornare indietro nel tempo.
Sopra le cassette di ortaggi, una mensola con le conserve e le passate di pomodoro fatte in casa e una signora in ciabatte con un bel grembiule rosa che serve le clienti parlando in dialetto.
Sembrava un miraggio. Mistofrutta, si chiama, questo angolo di paradiso. In via delle Correnti, il numero civico è troppo per la mia memoria. Aperto tutti i giorni, anche il sabato e la domenica mattina. Non avevo tempo di fare incetta di vegetali, la mia estasi mi aveva già fatto fare tardi.
Non è proprio dietro l'angolo, ma è sulla strada del lavoro. Il cestino della bici è capiente. Fatemi finire quel chilo di insalata in offerta presa al GS e vi aggiornerò su come è fare un salto indietro di almeno una decina d'anni!

mercoledì 30 marzo 2011

Caronte dagli occhi di brace...

Traghettava le anime da una sponda all'altra del fiume Acheronte. Al liceo me lo immaginavo come un autista stanco e assonnato. Non corrisponde un granché alla descrizione dantesca, ma credevo che fare la spola per l'eternità non fosse un lavoro così elettrizzante. Lo figuravo un po' come quei conducenti di autobus che portano a scuola i ragazzini e la mattina sono già stanchi di chiasso e scherzi cretini. Anche perché, le anime appena defunte, non credo stessero composte e in fila ad aspettare di essere trasportate chissà dove.
Nella mia personale versione della Divina Commedia, la fermata dell'infernobus era gremita di cadaveri con lo zainetto che, a colpi di cerbottana caricata a palline di carta e saliva, si spintonavano sulla riva, rischiando pure di finire in acqua, aspettando la vecchia barchetta e il canuto autista, che con i suoi occhi fiammeggianti cercava di spaventarli perché stessero buoni.
A Milano c'era un posticino nascosto intitolato al buon capitano. Approdo Caronte, il nome ufficiale. Kasotto per gli abituè.
Sulla riva della Darsena, che nella metafora ben riuscita, rappresenta l'Acheronte, un piccolo casotto degli attrezzi occupato da un gruppo di giovani temerari, era la simbolica fermata per aspettare il traghettatore.
Così ogni fine settimana orde di anime dannate si ritrovavano lì, guardando ogni tanto l'altra sponda e cercando nel buio due fiammelle rosse.
All'incrocio tra Via Vigevano e Viale Gorizia, scavalcando il muretto che divide la strada dall'argine del naviglio, ci si ritrovava sul tetto di questo quadrato di mattoni e cemento. Una scala a pioli permetteva di scendere dal tetto e approdare all'Approdo.
All'interno fumo e birre dal frigo, gruppi alternativi che suonavano e gente ammassata in quei pochi metri quadri dal soffitto bassissimo. Fuori, la pace della Darsena, la luce del mega cartellone pubblicitario e qualche topo. La prima volta che ci sono stata ho pensato di essere davvero finita in un girone dantesco. Ma ci si abituava presto, persino ai topi. Era un posto che aveva il fascino delle cose proibite, dell'abbattimento dei divieti.
“Credo che un sogno così non ritorni mai più”, cantava Modugno. E infatti le cose belle finiscono e soprattutto quelle che non sono ne legalmente ne socialmente accettate. Nel 2008, dopo sei anni dalla sua apertura, il Kasotto chiude. Lo demoliscono per creare un nuovo enorme parcheggio.
Milano spietata e in continua evoluzione, non ha posto per un angolo di inferno.
Rimane a chi c'è stato il ricordo della sensazione di rubare la marmellata dalla credenza della nonna, la fortuna di aver preso parte alla folla di sfollati, alla moltitudine di “anime prave”.
Se passate dall'incrocio tra Via Vigevano e Viale Gorizia lasciate un fiore o un biglietto in memoria e guardate verso l'altra sponda, potreste avere la fortuna di vederlo arrivare, il vecchio Caronte, che torna al suo molo anche se ad aspettarlo non c'è più nessuno.

martedì 29 marzo 2011

E uno...anzi mezzo

Ieri sera ho fatto i compiti. Per il primo giorno dell'anno milanese istituito, ho visitato il Duomo.
La mia nuova Bibbia gli dedica il secondo capitolo, o meglio, la seconda “cosa da fare almeno una volta nella vita”.
Lo so che pensate non sia una grande conquista, e invece sbagliate.
Era da almeno un paio di anni che non ci entravo e non me lo ricordavo così bello e scenografico, così cupo e gotico, così metal!
La missione di oggi però non era una semplice visita turistica. La mia maestra aveva lanciato una sfida: ritrovare sull'esterno della cattedrale tre “chicche”. Nell'ordine, la sirenetta di Andersen impalata su uno spigolo, la statua di Primo Carnera e un ratto senza testa.
Innanzitutto, la mia ignoranza senza fine mi ha bloccato in partenza. Chi diavolo è Primo Carnera??
Per tutti gli ignoranti come me: Carnera è un pugile italiano degli anni trenta, emigrato in America e diventato campione dei pesi massimi. Un gargantua con il diametro delle braccia più grande di quello della mia testa.
Quindi ho trascinato con me Federica, la mia coinquilina, perché quattro occhi sono meglio di due. Dopo la visita all'interno siamo uscite al sole di marzo e con il naso all'insù è partita la ricerca.
Nel caso voleste vivere l'esperienza, attenzione all'acciottolato dissestato, le caviglie rischiano grosso!
Alla prima occhiata ci siamo accorte della quantità di raffigurazioni, di figure antropomorfe e zoomorfe, a tratti angoscianti, sataniche e poi madonne e santi e motivi floreali. L'impresa non sarebbe stata semplice.
Dopo quasi mezzo giro la sirenetta impalata ci è apparsa come una visione. Eccola! La sensazione che prova uno scienziato a cui esce un esperimento. Al mio urlo di gioia un gruppo di ragazze si avvicina, mi chiedono che cosa ho trovato. Ancora con il dito puntato racconto la storiella della ricerca delle rarità. Ridacchiano della mia follia.
Il giro continua, ma sono dolente di dichiarare la sconfitta. Né il pugile né il topastro sono stati individuati. Posso addurre solo la scusa dell'impacchettamento di una piccola parte della parete, in ristrutturazione. Speriamo non vada a finire come con la chiocciola della Sagrada Familia (cinque viaggi a Barcellona e ancora non l'ho localizzata!!)
Presto verrà organizzata la spedizione, si raccolgono iscrizioni.
Nonostante la parziale riuscita, la mezz'ora passata a farci venire il torcicollo per arrivare con lo sguardo alle guglie più alte è stata illuminante. Quanto poco l'avevo guardato fino ad oggi, il simbolo di Milano!
Ho sempre pensato fosse un posto troppo di tutti per diventare mio. L'andirivieni continuo, la folla, i maledetti piccioni...mi sembrava poco privato, un luogo con troppa storia e troppa vita per poterci lasciare un segno personale. E invece no. Da oggi mi ricorderò della piccola sirenetta sventrata ogni volta che ci passerò davanti in bicicletta.

Lancio un'altra sfida, altre due chicche: provate a trovare, oltre ai suggerimenti della guru, un uomo con un serpente che esce dalla pancia e un teschio mostruoso.
Consiglio: scovate anche le vostre preziosità, le vostre piccole perle. Lasciate il vostro segno.

lunedì 28 marzo 2011

Quando il gioco si fa duro...

Ok, devo dire la verità. Questa scoperta dei mille cieli sopra Milano mi ha lasciato confusa. 
Accanto alla bella sensazione di ritrovare altre persone che scrivono di Lei, che la guardano, la analizzano, ne vivono l'essenza, ho provato uno strano senso di inadeguatezza.
L'atroce dubbio che tutto ciò che scrivo sia stato già scritto. Non che cambi la sostanza, però è bello sapere che ciò che si fa potrebbe risultare utile, divertente o interessante per qualcun altro. Altrimenti scriverei un diario segreto.
Così, presa dal panico di piccola bergamasca sradicata dalla terra natia e piantata nella grande mela, sono corsa in libreria.
Mi sono scontrata con un intero reparto di libri sulla città e mi sono sentita rimpicciolire. Come Alice dopo un morso di funghetto, mi arrampicavo con lo sguardo da un volume a un altro. Guide alternative, cucina milanese, libri di storia, di arte... Sapevo cosa volevo. Puntavo dritto all'obiettivo.
“101 cose da fare a Milano, almeno una volta nella vita”, Micol Arianna Beltramini. La mia nuova maestra, il mio guru, che mi offre una comoda Bibbia da consultare in ogni momento. Come in Julie&Julia (per chi non l'ha ancora visto: fatevi viziare dal burro della cucina francese e da una trama dolcissima).
Mi serviva un bersaglio, un compito, una deadline.
Per non farmi più travolgere da uragani di passaggio, scongiurare la pigrizia e mettere un po' più di carne al fuoco.
101 cose. Avevo pensato di farle tutte, ma ho anche un lavoro, accidenti!
Quindi rilancio come posso: cinquatadue. Le settimane dell'anno sono cinquantadue. Una cosa da fare almeno una volta nella vita ogni settimana. Ce la possiamo fare.
La scelta sarà difficile, ma accurata. Solo le cose più particolari e intriganti.
Come dice un mio amico: se non avessi una scadenza, le cose quando le faresti?
Facciamo che sperimento io per chi non ha voglia di leggersi un libro intero e soprattutto per chi pensa non ne valga la pena.
Vedremo se il post del 28 marzo 2012 dichiarerà vittoria o si intitolerà “Bandiera bianca”.
Nel frattempo, tra una cosa e l'altra da fare e sperimentare si continua il percorso di conoscenza della mia prima musa ispiratrice.
Inizia il viaggio. Si fa sul serio.

Sotto lo stesso cielo

I pensieri di chi è abituato ad alzarsi presto e per una volta si alza tardi sono strani. Appannati, ma finemente elaborati da lunghe ore di sonno.
Mi sono svegliata con una domanda. Quanti Cieli sopra Milano esistono già??
Non è un titolo così fuori portata, così controllo un po' in giro.
Allora...per ora abbiamo:
- l'indirizzo di un blog che però si chiama in un altro modo (in un modo molto carino: Anime senza glutine). Pensieri liberi di qualcuno.
- il titolo e l'indirizzo del, udite udite, blog del Movimento Universitario Padano dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Mi parte un sussulto quando lo vedo, ma ormai è fatta!
- altro blog che si occupa di pubblicizzare ciò che accade di bello in città. Molto molto carino. Ci metto pure un segnalibro.
- la sezione di un blog sul meteo. Mai titolo fu più azzeccato!
Scopro anche che "il cielo sopra Milano" è un corto, che devo assolutamente trovare e vedere.
Quindi ora la missione è cercare di comunicare con tutti questi cieli, fare le presentazioni. Dirsi: Buongiorno, scriviamo un blog che ha lo stesso nome, lei vuole leggere il mio? Io leggerò senz'altro il suo.
Che ne pensate? Che ne pensi Milano? Si può fare?
Riceverete presto notizie.

domenica 27 marzo 2011

Il respiro di una città

Come sempre, quando uno dice a se stesso che farà le cose con costanza e determinazione, un uragano passa e catalizza tutta l'attenzione.
Mi è mancato il mio angolo segreto, i miei pochi lettori e la mia tastiera. Mi guardava offesa, ogni tasto sembrava dirmi: "lascia perdere tutto sto affanno, corri qui e scrivi, adesso!". Troppo responsabile per dire sì senza sentirmi in colpa e io odio i sensi di colpa.
Stasera, finalmente, un'ora di tempo tutto per me. Non c'era scampo, Milano chiamava.
Oggi più che mai, gridava forte, reclamando la propria identità.
Ho visto emergere sotto i miei occhi esterefatti un'Atlantide colorata e viva, che prendeva forma e voce.
La magia si ripete ogni anno, tra marzo e aprile, un week end come gli altri all'apparenza. L'isola esce dalle acque, bella e splendente, come se non si fosse mai eclissata.
Non me la sono mai persa, Fa la Cosa Giusta, da quando vivo qui. E' un appuntamento irrinunciabile. Inizio a pensarci settimane prima e mi pregusto quanto sarà meraviglioso. E' una delle poche cose che non delude mai le mie aspettative.
Mi aggiro per la fiera e mi chiedo dove erano tutte queste persone prima... prima della fiera, durante il resto dell'anno. Lavoravano alacremente per mostrare al mondo intero il risultato? Avranno pensato anche loro che Milano è una città difficile? Difficile da vivere e da capire. Si saranno chiesti se ne valeva la pena? Lascio perdere le domande, c'è così tanto da vedere e così poco tempo...ho voglia di scoprire. Sì, perchè sulle cose che scopro qui ho materiale per arrivare al prossimo anno.

Oggi ho scoperto che:
-una piccola impresa produce detergenti per la casa e il corpo con prodotti biologici e che sul loro sito ci sono le schede tecniche per imparare a farseli da soli (così la smetteremo di metterci ai fornelli a provare ricette della nonna e a guardare strane sostanze schiumose bollire e cambiare colore. Una scena che nemmeno le streghe di Macbeth...);
-hanno inventato il critical fashion: giovani designer e stilisti che propongono qualcosa di nuovo e particolare (forse voi lo sapevate da anni, ma io mi ero persa delle puntate). Non so se avete presente la sensazione di ritrovarvi ad una festa e accorgervi che la tizia seduta al bancone ha esattamente lo stesso vestito che vi siete comprati ieri e fino a due minuti prima sfoggiavate a testa alta. Per gli ometti all'ascolto, vista con gli occhi di una ragazza, la situazione può sfiorare la tragedia. Niente di meglio che indossare qualcosa di unico al mondo;
- esiste un posto, per gli interessati Parco Naturale dell'Energia Sostenibile in Umbria, che è completamente alimentato con energie rinnovabili. Una cascina con orto biologico e animali in libertà, dove passare un week end ad imparare a vivere ad impatto zero. Niente fumo che esce dal camino, niente bollette, niente fughe di gas. Ho pensato che in un posto così potrei anche smettere di fumare. Mi sentirei molto fuori luogo sapendo di essere l'unica fonte di inquinamento nel raggio di almeno cinque chilometri!
- al referendum per il nucleare bisogna votare sì per dire che si è contrari. Da che mondo è mondo, sì vuol dire approvazione e no disapprovazione. Sembra che per chi scrive i complessi, e spesso nemmeno troppo sintatticamente corretti, testi dei referendum la terra giri al contrario. Bisogna tenere gli occhi spalancati costantemente, la fregatura è dietro l'angolo. Infatti al referendum sulla privatizzazione dell'acqua per dire di no bisogna crocettare il sì. Potremmo evincere, molto socraticamente, che basta votare sempre il contrario di ciò che si pensa. Sono sollevata nel considerare il fatto che lo scompenso creato dai tranelli infingardi toccherà anche chi non la pensa come me.

Le novità non finiscono qui. In realtà sembrano non finire mai. Ogni stand è una porta su un universo grandissimo, che apre altre curiosità e stimoli nuovi. Un caleidoscopio gigante, in cui le immagini si rincorrono all'infinito. Il vaso di Pandora, ma senza cataclisimi universali.
Mentre tornavo (con tre borse di volantini, una maglietta critica, un contenitore di piantine per comporre il mio "orto dei sapori" e un carico di verdura biologica) mi sentivo un po' stordita, quasi ubriacata dal bagno di folla e dagli stimoli che mi avevano colpito con troppa velocità perchè le trame neuronali riuscissero a registrarli tutti. In metro pensavo a quante persone erano lì, a farsi colpire dagli stimoli come frustate, a lasciarsi incuriosire dal pesto bio e dal forno solare.
Ma allora ci sei. Allora respiri ancora. Mi lasci in apnea per un po', poi mi porti a galla e mi fai prendere una boccata d'aria fresca. Sarebbe bello poter restare ad Atlantide, trasferircisi proprio, cosa ne dici Milano?
Io dico che quell'aria di festa ti starebbe proprio bene addosso.
Tu dormici su, mi farai sapere.
Ma lasciatelo dire, oggi sembrava che fossi lì a dirci che "il meglio deve ancora venire!"

giovedì 17 febbraio 2011

La vita dura del ciclista urbano

La band di un mio amico qualche anno fa cantava: “Vai ciclista urbano, colonizza la città!”.
Più facile a dirsi che a farsi.
Loro, gruppo per hobby, predicavano l'ecologia intrattenendo folle mezze sbronze alle feste estive dei circoli. E facevano bene. Il pezzo non era niente male e c'era qualcuno che addirittura accennava qualche balletto sul ritornello.
Però, parliamoci chiaro, fare il ciclista in città può essere tutto tranne che una passeggiata. No, scusate, fare il ciclista a Milano non è una passeggiata. Ad Amsterdam è una goduria. I ciclisti olandesi hanno una città con corsie preferenziali in ogni strada, semafori con allegri segnali luminosi a forma di bicicletta e poi parchi da attraversare e graziosi ponticelli...e non dimentichiamo il particolare più rilevante, sono un numero inverecondo, masse di biciclettanti che anche con tre gradi sotto zero e le lastre di ghiaccio spesse come il pack, pedalano spensierati, fregandosene dei poveri quattro stronzi su mezzi a motore. Sono tanti, per questo sono padroni unici e indiscussi della città.
A Milano la bicicletta è un mezzo per temerari.
Un saggio mi disse: “Se sai andare in bici a Milano, sai andare in bici ovunque.”
C'è da puntualizzare subito una cosina. Io non parlo di passeggiatine domenicali per smaltire la polenta o di farsi cinquecento metri scarsi con tutta la calma. Io parlo di traversate senza fine, viaggi della speranza con tanto di borsa, zainetto e cestini (sia quello davanti, sia quello dietro) stracolmi, parlo di una vera e propria odissea fantozziana.
I veri ciclisti urbani si muovono solo con la loro fedele due ruote e rifiutano ogni sorta di altro sistema per traslocare il proprio sedere da una parte all'altra dell'agglomerato urbano. Sono quelli che quando gli amici prendono la macchina il sabato sera dicono: “Io vi raggiungo in bici!” e si prendono pure dei cretini. Sono quelli che si sono comprati la mantella di tela cerata per essere pronti anche in caso di uragano o tzunami. Sono quelli che vanno al lavoro, in università, al corso di yoga, al bar, al supermercato sempre e solo pedalando, anche se questo significa inforcare la bici a Famagosta e parcheggiarla a Cologno Nord. Sono quelli che alla bici danno pure un nome.
Sì, un nome.
Nomi di biciclette che conosco: Poderosa, Sfrenata, Sbiadita, Sbadata, Imbarazzocicletta, Adalgisa, Wilma, Terry, Melinda, Borsellina (questa era la bici di un amico che studiava Giurisprudenza!).
Per il ciclista la bici è una debolezza, croce e delizia, un amore troppo forte, irresistibile.
Ecco, io sono un ciclista urbano. I mezzi pubblici mi mettono ansia, mi opprimono. L'idea di rimanere schiacciati come sardine in una scatola mobile, mi uccide. Voglio sentire il vento sulla faccia, correre via veloce e vedere il cielo sopra di me.
Sembra romantico e invece è uno sport estremo.
Bungee jumping, parapendio, rafting, corsi di sopravvivenza...non c'è nemmeno da discutere, la pedalata in Corso Buenos Aires batte tutti.
In primis è necessario imparare la tecnica dello slalom tra le automobili. Se non si vuole finire intossicati, è fondamentale posizionarsi davanti al semaforo in attesa del verde e così una dopo l'altra si superano le Mercedes e i Suv che sgasano e scalpitano come i cavalli del palio di Siena prima della partenza. Sembra un'operazione da nulla, invece è necessaria una maestria da rettile per sgusciare veloci e soprattutto per non rigare la Porche di qualche riccastro incazzato o ammazzare qualche specchietto con una manovra maldestra. Il fine ultimo è raggiungere la pole position prima che scatti il verde, se le macchine partono mentre siete nella fase di slalom è un gran casino.
Altra pratica molto delicata è il passaggio per il centro. Che bello il centro! Piazza Duomo, il Castello, via Dante con le esposizioni di fotografia e via Torino con i suoi negozi e il pavé! Il maledetto, infingardo, scivoloso pavé. L'incubo di ogni pedalatore professionista.
La scomodità di questa copertura stradale, tanto bella a vedersi, non può essere descritta a parole, va provata! La sensazione di essere seduti su una poltrona vibrante alla massima potenza a metà tra l'incontinenza e il godimento nel tentativo disperato di rimanere in sella è consigliabile a chi è in cerca di emozioni forti. Come se non fosse sufficiente i binari del tram tagliano la carreggiata e, il ciclista navigato sa benissimo che finirci dentro con le ruote significa non uscirne più e filare via lisci per direttissima fino al capolinea. Il furbo sale sul marciapiede, ma via Torino è gremita di gente a qualunque ora del giorno e della notte e così si ritrova ad avanzare a passo d'uomo cercando di non caricare qualche vecchietta che esce distrattamente da un negozio.
Quindi l'unica è pedalare come se non ci fosse un domani, senza pensare al pavet e ai binari, magari con il tram che incalza alle spalle, mostro elettrico con lo spazio di frenata del TGV e sperare che a nessuno venga in mente di attraversare proprio in quel momento.
E tutto questo per non parlare della rotonda di piazzale Loreto, del semaforo di via Sforza (al verde cinque corsie di auto, due delle quali abusive, schizzano via impazzite a tutta velocità, attorniate da motorini che si infilano in ogni spazio vuoto e sembrano pesci pulitori intorno alla balena) e delle macchine parcheggiate in terza fila e sul marciapiede in via Vigevano che lasciano il ciclista attonito in attesa del momento buono per superare l'ostacolo.
Nonostante le avversità della giungla cittadina, una volta provata l'ebbrezza non è facile smettere, rinunciare alla dose di adrenalina quotidiana.
L'idea di vedere la città sfrecciare intorno a me mi piace, mi fa sentire ancora più dentro, al centro della vita, del suo movimento frenetico. Sentir cambiare le stagioni sulla mia pelle, capire che è primavera dal fatto che i guanti non servono più, sapere che stanno riasfaltando Largo Murat o che il venditore di fiori all'angolo tra Corso Venezia e via Boschetti ha esposto le primule, vale tutte le imprecazioni e i piccoli disagi.
Stasera, tornando a casa, mi stavano stirando. Una signora impellicciata al volante mi ha fatto un gesto come per dire “Cosa diavolo fai!?”. Io in un attimo di altissima lucidità le ho cantato: “Vai ciclista urbano, colonizza la città!”. Chissà se ha capito la citazione.



lunedì 14 febbraio 2011

Atlantide

Oggi è grigia. Non solo in senso metaforico (scadenze e impegni che affollano l'agenda mi rendono molto più rallentata, più spenta, invece di farmi premere sull'acceleratore). La settimana di sole appena trascorsa mi aveva fatto credere che la mia Milano non avrebbe mai più visto il grigiore che la contraddistingue, che la domina. Invece è tornato. Il grigio senza pioggia, una specie di stasi continua, un'aria densa e vischiosa dentro la quale sembra più difficile muoversi.
Torna, inclemente e selvaggia, a ricordarmi di quanto di me se ne freghi, nonostante le abbia dedicato il mio primo blog. Ormai la conosco.
L'idea di scrivere di lei mi ronzava per la testa da un bel po' di tempo. Tornava ogni tanto a farsi sentire, a bussare a qualche porta della mente. Era un'esigenza che premeva soprattutto durante le lunghe traversate in bicicletta, quando mi prendo il tempo di guardarla un po', di notare un particolare che mi era sempre sfuggito, di perdermi e scoprire una strada che non conoscevo.
E' inutile descrivere l'esperienza di una ragazza di provincia che si trasferisce nella grande città, che ne viene inghiottita, trasformata o paralizzata. Mi sembra arrivato il momento di parlare da cittadina equilibrata (o per lo meno in equilibrio con il suo “intorno”) e appassionata del posto in cui vive, tanto da averlo personificato.
Milano è una città sommersa, nascosta. Un vaso di pandora inesauribile.
Occorre la pazienza di scoprirla piano piano, un passo alla volta, un angolo alla volta, senza avere la pretesa di conoscerla subito, senza darle del tu troppo presto. Sottovalutarla è un po' come offenderla; va trattata con la delicatezza che si riserva alle cose preziose.
Questo blog potrebbe servire a chi, come me, è innamorato della sua città e anche e soprattutto a chi la detesta, la trova brutta e deprimente.
Insomma, non è la storia di un colpo di fulmine! E' un racconto paziente di una ricerca alacre e metodica, di un senso di appartenenza conquistato poco a poco.
Nella speranza che possiate usufruirne in qualunque modo (dal più serio e coinvolto al più neutro e distaccato). Buona lettura!

domenica 13 febbraio 2011

13 febbraio 2011: la sorpresa di vederti così, come non ti avevo mai vista!

Centomila persone. Una distesa senza fine di cappelli, ombrelli e sciarpe bianche. Una carica e una rabbia che non sono di queste parti.
Mi ha stupito oggi, la mia città.
I milanesi non ne abbiano a male, sono bergamasca di nascita, ma Milano è la mia città. E' mia perché ci vivo da quattro anni, è mia perché la adoro, è mia perché rispecchia ogni chiaroscuro di me stessa.
La mia città: cinica, bastarda, pesante, opprimente, frenetica, vittima di sé stessa. Vittima della moda, che l'ha resa la Mecca di modelle e aspiranti stilisti. Vittima del cemento, che continua a produrre, senza sosta, senza regole e che la strangola in un disperato autolesionismo. Vittima dell'indifferenza, che dà la serenità di un nascondiglio perfetto per perbenisti e radical chic.

La mia Milano spietata oggi mi ha stupito. Mi ha commosso.
Non per l'affluenza ad una manifestazione condivisa e vissuta, ma per il contesto di estrema cordialità e pacatezza, per i sorrisi che ho ricevuto e che superano nettamente la conta di quelli degli ultimi due anni. 

L'anima la tiri fuori sempre quando meno me lo aspetto e mi inchiodi a te. Mi mostri la tua parte femminile, vulnerabile, arrabbiata e passionale, proprio quando iniziavo a stancarmi della tua disattenzione. Mi lasci spiazzata e torno a sentirti vicina, presente, torno a sentire il tuo abbraccio, un palpito di vita.

Così torno a casa e mi invento un posto dove poter scrivere di te.