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domenica 10 aprile 2011

E DUE...


L’impresa di questa settimana era facile facile. Un aperitivo.
Nella magica Bibbia erano riportati tre locali storici della Milano da bere. Il Bar Basso, il Magenta e il Jamaica. La guru diceva di sceglierne uno dei tre e di godersi uno spritz o un negroni sbagliato in santa pace.
Considerando che al Bar Basso ci ero già stata un bel po’ di volte, che il Magenta l’avevo già visto (e poi mi inibiva un po’ il fatto che a una certa ora parte il Coyote Ugly: ragazze sul bancone che versano da bere direttamente in gola agli avventori…specifico, ragazze clienti!), ho optato per il Jamaica, rinomatissimo e mai visto.
Fondato nel 1911, luogo di ritrovo dei bohemien della città, degli scapigliati e degli artisti, fossero essi di fama mondiale o giocolieri di piazza. L’idea era quella di immergersi in un posto che ha visto passare così tanto estro e respirarne un po’ l’aria (sai mai che poi l’estro si impossessi anche di me!).
E ce l’ha tutta la faccia di averne viste di ogni colore, questo localino piccolino, con una terrazza sulla strada, nel bel mezzo del quartiere degli artisti. Via Brera 12, per l’esattezza. Più posizione strategica di così…
Il bancone di marmo altissimo, le mille bottiglie appoggiate all’enorme specchio alle spalle del barista, che ricorda così tanto quel quadro di Manet, quello con la barista che guarda verso la sala… Le bar de folies-bergère, ecco! Tutto ha cento anni e li dimostra. Le piastrelle ai muri fino al soffitto lo fanno sembrare, in alcuni angoli, una gastronomia d’altri tempi. E in effetti al Jamaica di mangia sempre. Non ci sono orari, stupide regole o menu per il pranzo. Il Jamaica offre le stesse cose da tempo immemorabile e, come un bar del dopoguerra (dei dopoguerra, visto che li ha visti entrambi!) che si rispetti, non nega un piatto di pasta a nessuno, anche fossero le tre del mattino.
La chicca è il giornale attaccato ad un’asta di legno, tipo bandiera. Forse è il caso di spiegarmi meglio, visto che mi son dovuta far illustrare il perché e il percome. Invece di lasciare i giornali su un tavolino perché la gente li possa leggere, al Jamaica si inserisce la piega del quotidiano nella scanalatura di un’asta lunga un metro circa, con un anello sulla cima, per appenderli al muro. Così appesi si possono sfogliare agevolmente senza bisogno di inventarsi nuovi origami e senza che si scombinino le pagine (che poi uno vuole la pagina sportiva ed è sempre quella che non torna mai al suo posto!). Chissà perché le barre da giornale (così le ho battezzate) sono sparite dalla circolazione? Mi sembrano geniali!
Bevendo uno Spritz eccezionale e chiacchierando di cucina e di arte (e di cosa vuoi chiacchierare in un posto così??) noto una cosa molto carina e rarissima a Milano. La forbice di età degli avventori è di almeno cinquant’anni. Matricole universitarie di non più di vent’anni affollano la terrazza, fanno chiasso ed entrano a chiedere da bere a plotoni di dieci alla volta. Signori distinti sulla cinquantina siedono all’interno sorseggiando del vino e, a tratti, fanno più rumore delle matricole. Al bancone e qua e là nel locale coppie di settantenni che si tengono per mano, vecchietti che portano a spasso il cane e si fermano qui per farsi un bianchino. Mi piace pensare che la clientela affezionata sia rimasta la stessa sempre e che i ventenni di allora sono i settantenni di oggi, che dentro il bar si sono incontrati, hanno bevuto, hanno giocato a carte e si sono innamorati.

Milano cambia alla velocità della luce. Un posto che ha visto due guerre e molta acqua passare sotto ai ponti e che offre il prosciutto crudo a qualunque ora, che si tiene la sua clientela fissa senza troppe smancerie o offerte speciali è raro come l’insalata russa nei buffet gratuiti.
Il mantenersi autentici è un grandissimo lusso, in questa città.
Quindi, un brindisi al Jamaica. Cin Cin all’autenticità, con l’augurio di rivederlo così tra altri cento anni. Salute!

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